Le battaglie ambientali in difesa della laguna di Marano

LA QUESTIONE AMBIENTALE

La questione ambientale dal punto di vista dell'impresa

La costruzione dello stabilimento S.A.I.C.I. a Torviscosa, inaugurato nel 1938, si inserisce all’interno del progetto autarchico in vigore all’epoca. L’impresa si proponeva come modello di modernità e progresso, sia contribuendo, con la sua produzione di cellulosa, a garantire l’autosufficienza produttiva nazionale [1] sia portando benessere economico in un’area rurale. A un’udienza del 1972 tenutasi a Udine per discutere i problemi della zona industriale Corno, Nardi, il direttore dello stabilimento della cellulosa, dichiarava: «questi stabilimenti danno lavoro a 1200 persone, svolgendo un ruolo importante sull’economia della Bassa friulana. Inoltre, numerose industrie della Regione e del resto d’Italia operano con le materie prime prodotte da Torviscosa» [2]. L’attenzione, quindi, era posta sul valore sociale della fabbrica e sul ruolo assunto su scala nazionale. L’aspetto economico e la produttività giocheranno un aspetto importante di fronte alle problematiche di natura ambientale, sia in svariate dichiarazioni da parte degli attori principali della SAICI SNIA sia all’interno della documentazione aziendale.

In tale contesto, l’ambiente e il patrimonio naturale erano considerati principalmente una risorsa di tipo produttivo. Nell’udienza del ’72, Nardi ricordava come il complesso industriale fosse stato costruito quando i problemi sull’inquinamento e sulla tutela ambientale ancora non si ponevano [2]. L’acqua, in particolare, rappresentava la risorsa primaria per lo stabilimento. L’agronomo Soresi, in una relazione pubblicata nel 1939, affermava che la SAICI aveva deliberato la costruzione degli stabilimenti a Torre di Zuino [3] proprio in considerazione della quantità e disponibilità delle acque che potevano servire per l’uso industriale. Queste avrebbero permesso la navigazione e la diluizione delle acque di scarico dello stabilimento; risultavano particolarmente importanti soprattutto per il previsto ampliamento della fabbrica (avvenuto poi nel 1940) che avrebbe comportato un conseguente aumento dell’utilizzo degli agenti chimici per la lavorazione della cellulosa e, quindi, delle acque necessarie alla loro diluizione. In particolare, sarebbero stati necessari alla Società (complessivamente per l’attività agricola e industriale) 16 metri cubi di acqua al secondo [4].

La questione ambientale emerse durante il completamento dei lavori per il raddoppio della capacità produttiva della fabbrica, quando insorsero le prime proteste da parte dei pescatori e vallicultori della zona lagunare compresa tra la foce del fiume Aussa e Marano [4]. In particolare, essi lamentavano ingenti danni alla fauna ittica, causata dal degrado delle acque. A seguito di accertamenti, la responsabilità di tale fenomeno venne attribuita alle acque di scarico degli stabilimenti SAICI [5, 6]. Da parte dell’impresa, l’impatto ambientale provocato dagli scarichi venne inizialmente ignorato: negli incontri organizzati tra le parti interessate ci furono continue assenze da parte dello stesso Marinotti, l’allora presidente della SAICI [5]. La vicenda con i pescatori si concluderà appena nel 1965 [7]. Successivamente, tra il dicembre 1967 e il gennaio 1970, alle diverse richieste di notizie da parte del medico provinciale in merito agli scarichi, la Società rispondeva che «le acque di scarico non contengono quantità apprezzabili di sostanze inquinanti»; specificando che, per quanto riguardava gli scarti della lavorazione della cellulosa, gran parte del «liscivio esausto» veniva recuperato e utilizzato come combustibile, mentre il resto, vista la sua natura non tossica, veniva scaricato nella darsena senza la necessità di un impianto di depurazione. Per quanto riguardava lo stabilimento soda-cloro, invece, le quantità di rifiuto contenenti sostanze chimiche erano presenti in quantità talmente irrilevanti da non necessitare un ciclo di depurazione [8].

È solo in seguito alle crescenti pressioni da parte delle istituzioni e delle comunità e i progressivi cambiamenti alle leggi sugli scarichi che la Società cambiò approccio, sottolineando da un lato il proprio impegno in campo ambientale e, dall’altro, affermando la legittimità delle proprie pratiche. Nel 1971, la Società (denominata prima SAICI e poi SNIA Viscosa) dichiarava di non aver mai perso di vista la necessità di trattare o eliminare gli scarichi inquinanti, affermando che già nel 1953 le era stata concessa l’autorizzazione allo scarico degli effluenti dopo la realizzazione di un bacino di decantazione per la separazione del materiale fibroso e che, nel 1963, era stato ultimato il sistema di recupero delle fibre cellulosiche [9]. Nel ’72, Nardi ricordava come fossero in fase di studio impianti di depurazione delle acque di lavaggio, contenti ceneri di pirite, e attrezzature per il recupero di sostanze organiche disciolte nelle acque di scarico [2]. Tale sensibilità ambientale veniva però messa in secondo piano rispetto all’importanza che l’argomento ricopriva, non solo per il danno provocato all’ambiente, ma anche alle altre attività economiche e alla salute pubblica. A seguito della scoperta della presenza di mercurio nelle acque di scarico, la SNIA fu costretta a iniziare dei lavori per modificare il processo tecnologico di produzione della cellulosa e per il trattamento degli effluenti dei vari impianti [10]. Nonostante fossero noti i rischi legati all’inquinamento da mercurio [11], a detta della Società, «questi interventi ecologici sono al limite della sopportabilità economica» e dato che avrebbero comportato un notevole aumento dei costi di produzione [10], bisognava «essere certi della massima efficacia» [2].

Nel corso degli anni, l’impresa ribadiva di operare nel rispetto delle normative vigenti, richiamando a sostegno autorizzazioni già ottenute [12]. La SNIA, infatti, affermava di essere titolare di scarichi idrici in acque pubbliche e si appellava a un decreto presidenziale del 1972 e a una legge regionale del 1971, oltre che a una domanda di revisione (datata 1973) di un’autorizzazione del 1953 [13].

Inoltre, secondo l’opinione dell’Assindustria e dell’ingegner Corradini, all’epoca amministratore delegato della SNIA BPD, l’allarmismo dei media avrebbe criminalizzato l’operato della fabbrica [14, 15]. Con queste affermazioni, la complessità dell’annosa questione ambientale veniva attenuata: l’obbiettivo delle proteste diventava quello di bloccare lo sviluppo industriale o mettere in discussione la presenza stessa dell’industria [15]. Della stessa opinione anche l’allora Presidente della Giunta Regionale che definì gli ambientalisti come degli «straccioni» che non pensavano alle numerose famiglie che, senza l’operato della fabbrica, sarebbero rimaste senza sostentamento [16].

I conflitti ambientali

I primi conflitti ambientali nascevano dunque con le proteste dei pescatori di Marano Lagunare, i quali denunciavano la presenza di «acque nerastre» che sembravano causare un’elevata mortalità di pesce novello e adulto e una crescita ridotta tra i pesci rimasti vitali. Le acque di scarico, provenienti dagli stabilimenti SAICI per la lavorazione della cellulosa, contenevano grandi quantità di acidi, nitrati e altre sostanze tossiche che, rilasciate nelle acque dell’Aussa, convogliavano poi in laguna [6]. Queste evidenze mobilitarono le cooperative di pescatori, che vedevano compromessa la loro principale fonte di reddito [17]. Successivamente a svariate proteste verso le quali la Società non rispose, gli interessati fecero ricorso all’autorità giudiziaria per convocare la Società al Tribunale di Udine [6]. In particolare, il Consiglio Comunale di Marano Lagunare con deliberazione n. 14 del 17 luglio 1953 autorizzava il Sindaco a promuovere una causa civile contro la SAICI [18]. La volontà era di tutelare gli interessi dei pescatori, concessionari del diritto di pesca, e del Comune di Marano, quale proprietario della laguna [5]. Nello specifico, l’intento era di ottenere un risarcimento per il danno economico subito e per quello futuro [6]. Il tema era stato portato anche all’attenzione nazionale durante un incontro tra i rappresentanti di tutti i pescatori d’Italia sulla costa amalfitana, organizzato dall’Ufficio centrale dei problemi del lavoro. Da Marano furono inviati tre pescatori locali che consegnarono un ordine del giorno (discusso e votato) contenente una descrizione della condizione del patrimonio ittico lagunare a seguito degli scarichi provenienti dalla SAICI [17].

Negli anni Settanta, con la crescita del turismo balneare a Lignano e Grado, emergevano nuovi interessi: gli operatori turistici si unirono alle proteste, temendo i danni che la laguna poteva subire. Nel febbraio 1972, durante una riunione del Comitato Regionale di Orientamento sui problemi ecologici, i sindaci e i rappresentanti delle aziende di soggiorno dei Comuni interessati riportavano le proprie considerazioni. Gnesutta, il Sindaco di Lignano, affermava che la presenza delle industrie non avrebbe dovuto precludere lo sviluppo turistico, mentre Tosolini, il presidente dell’azienda di soggiorno di Lignano, evidenziava il prodotto lordo che Grado e Lignano fatturavano annualmente, paragonando i due comuni a un’azienda di otto mila operai. In questi termini il turismo era visto come la «più importante industria del Friuli Venezia Giulia» ed era quindi necessario non attuare iniziative che potessero compromettere o arrestarne la produttività [19].

Nel 1971 diventava noto il fenomeno del bioaccumulo da mercurio [20]. Nello specifico, si scoprì che l’attività microbica poteva formare dei composti metallorganici solubili, facendo reagire il mercurio con materiali organici presenti nelle acque di rifiuto e rendendone possibile l’entrata nella catena alimentare. La concentrazione del mercurio, anche se inizialmente trascurabile, poteva quindi aumentare progressivamente, superando di migliaia di volte il quantitativo di partenza. Ne conseguiva che l’effluente, dopo trattamento, doveva esserne esente (la concentrazione massima tollerata poteva essere pari a cinque parti per miliardo) [11]. Nel 1997, le analisi eseguite sui sedimenti del canale Banduzzi, del fiume Taglio e del fiume Aussa avevano rilevato valori allarmanti sulla concentrazione di mercurio, scatenando la reazione dei consiglieri comunali di Torviscosa Settimo e Bellantone, che chiesero di indire una conferenza di servizi per iniziare la bonifica dell’area, revocare alla Caffaro l’autorizzazione allo scarico dell’impianto di produzione soda-cloro [21], vietare la pesca e limitare la navigazione nelle acque in questione [22]. Anche secondo Paolo de Toni, ambientalista a guida del Comitato per la difesa dell’ambiente locale, non doveva essere possibile scaricare in un corso d’acqua fortemente degradato, in quanto non più capace di ricevere neppur minime quantità di mercurio [23]. L’anno seguente, da analisi effettuate nel canale Banduzzi, era stato rilevato che 5 campioni di pesci su 9 presentavano un contenuto di mercurio che superava il limite di legge. Rispetto alle analisi condotte 15 mesi prima, la concentrazione di mercurio ritrovata nei lucci e nelle tinche risultava essere rispettivamente triplicata e raddoppiata, nonostante gli scarichi fossero cessati. L’aumento della concentrazione di mercurio nei pesci derivava, quindi, da quello presente nei sedimenti del canale [24], al quale, dal 2008, ci si riferiva ormai come il «canale d’argento», viste le alte concentrazioni di mercurio rilevate nelle sue acque [25].

All’aspetto economico e più strettamente ambientale, si univa una crescente preoccupazione per la salute pubblica. Non solo per quanto riguardava il pescato e l’alimentazione umana ma anche per la salute degli operai della fabbrica e degli abitanti di Torviscosa. Il mercurio, ad esempio, provoca effetti disastrosi sulla salute umana, arrivando potenzialmente a generare disturbi nervosi irreversibili [11]. Nel settembre del 1976, l’ufficiale sanitario di Torviscosa chiedeva al sindaco chiarimenti su alcune analisi eseguite nel maggio 1972 dal Laboratorio provinciale d’igiene e profilassi di Udine. La documentazione, fino ad allora, era rimasta sconosciuta. Dalle analisi emergeva che alcuni lavoratori presentavano valori di mercurio nelle urine superiori ai limiti considerati pericolosi. Inoltre, nel corso di un’ispezione agli stabilimenti SNIA, venivano individuate delle problematiche inerenti all’esposizione all’anidride solforosa, alla fuoriuscita dei vapori di mercurio, a una scarsa ventilazione e alle fessure nella pavimentazione in cemento, le quali rivelavano la presenza di gocce di mercurio [26]. In particolare, in merito alla concentrazione di gas tossici [27], erano state richieste delle analisi nel mese di agosto, ma la situazione era nota già dal 1973, quando erano state lamentate dalle maestranze della SNIA emissioni particolarmente irritanti di anidride solforosa e solforica. Queste, in determinate condizioni di vento (come la bora), si riversavano nel vicino centro abitato, causando intossicazioni acute. Nel ’79 la fabbrica venne classificata come «industria insalubre di classe I» e, come tale, avrebbe dovuto trovarsi isolata in campagna e non prossima ad un centro abitato [27]. Nel 2008, la Procura di Udine disponeva il sequestro dell’impianto soda-cloro e la conseguente chiusura della Caffaro per indagare su un «disastro ambientale colposo e contro la salute pubblica, sia per le emissioni in atmosfera sia per la contaminazione massiva del suolo, del sottosuolo, delle acque sotterranee e superficiali» [28].

La convergenza dei vari interessi in merito alla questione aveva progressivamente rafforzato le richieste di tutela attiva della laguna anche se solo a partire dagli anni Novanta se ne riconobbe formalmente il valore naturalistico. In tal senso furono importanti le Direttive Habitat (92/43/CEE) e Uccelli (2009/147/CE) e l’istituzione, tramite la legge regionale n. 42/96, delle due Riserve naturali regionali (Valle Canal Novo e Foci dello Stella). Tali Direttive furono ufficialmente recepite con il Decreto della Giunta Regionale n. 435/2000, grazie al quale la laguna fu riconosciuta come Zona Speciale di Conservazione (ZSC – IT3320037) e Zona di Protezione Speciale (ZPS – IT3320037) [29].

Il caso di Torviscosa evidenzia la complessità nel conciliare le tre dimensioni fondamentali della sostenibilità (ambientale, sociale ed economica), che può considerarsi davvero tale solo se le comprende nel loro insieme.

Note

  1. La produzione di cellulosa “nazionale” doveva sostituire l’importazione di cellulosa dall’estero.
  2. [FS 19720210] La SNIA opera da anni contro gli inquinamenti, «Messaggero Veneto», 10 febbraio 1972.
  3. Il Comune di Torviscosa fu costituito in seguito, nel 1940. [FG 1940] Legge 26 ottobre 1940-XVIII n. 1621, Costituzione del Comune di Torviscosa in provincia di Udine, in Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia del 5 dicembre 1940.
  4. SETTIMO Mareno, Torviscosa 1940. Progetti e realizzazioni, speranze e fallimenti, truffe e soprusi nel nome dell’autarchia. Torviscosa, Gruppo Consiliare Mareno Settimo, 2020.
  5. [FA19540314] ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI MARANO LAGUNARE, Deliberazioni del Consiglio comunale (1954), Deliberazione n. 20 del 14 marzo 1954, Relazione del sindaco.
  6. [FS 19530326] Insediata l’industria del pesce dall’inquinamento del fiume Aussa, «Il gazzettino», 26 marzo 1953.
  7. [FA 19651009] ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI MARANO LAGUNARE, Deliberazioni del Consiglio comunale (1965), Deliberazione n. 16 del 9 ottobre 1965.
  8. [FA 1967_2] ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI TORVISCOSA, Controllo ambientale, Tutela delle acque, b. 6, fasc. 7, Indagine sugli scarichi di Snia Viscosa, Saici, Manifattura lane Gaetano Marzotto.
  9. [FA 1971_3] ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI TORVISCOSA, Controllo ambientale, Tutela delle acque, b. 5, fasc. 5, Snia Viscosa: richiesta all’esercizio degli scarichi industriali. Allegato 4. Trascrizione.
  10. Nel 1972 il Laboratorio provinciale d’igiene e profilassi di Udine trasmetteva la relazione relativa all’analisi delle acque scaricate dalla S.A.I.C.I., dalla quale risultavano fortemente inquinate con “presenza di mercurio in tracce e di altre sostanze” (anidride solforosa, ligninsolfonati, ecc.) che superavano i limiti di accettabilità stabiliti dal Ministero della Sanità. [FA 19720518] ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI TORVISCOSA, Controllo ambientale, Tutela delle acque, b. 7, fasc. 6, carteggio con il Comune di Torviscosa, il Laboratorio provinciale di igiene e profilassi e il Medico provinciale.
  11. [FA 19711230] Ministero della Sanità, Circolare n. 212Trascrizione.
  12. Il primo permesso di versare i rifiuti industriali nelle acque del canale Banduzzi, ottenuto dalla S.A.I.C.I. in via provvisoria, fu rilasciato dalla Prefettura di Udine nel 1943. [FG 1943] Decreto del Prefetto di Udine n. 20036/III, 24 settembre 1943.
  13. [FA 1976_1] ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI TORVISCOSA, Controllo ambientale, Tutela delle acque, b. 5, fasc. 6, Snia Viscosa: richiesta di proroga all’attuazione del programma di adeguamento alla tab. C degli scarichi industriali.
  14. [FS 19880925] La SNIA si autocelebra attaccando chi denuncia i suoi inquinamenti, «L’unità», 25 settembre 1988.
  15. [FS 19970221] Industria “ecologica”, «Messaggero Veneto», 21 febbraio 1997.
  16. [FS 19911127] Quegli ambientalisti straccioni, «Messaggero Veneto», 27 novembre 1991.
  17. [FS 19558] Da Marano si è levata una voce che va ascoltata, «L’aclista friulano», 1955.
  18. [FA 19530717] ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI MARANO LAGUNARE, Deliberazioni del Consiglio comunale (1953), Deliberazione n. 14 del 17 luglio 1953.
  19. [FS 197202] I sindaci di Marano e di Grado ascoltati dal comitato ecologico, «Messaggero Veneto», febbraio 1972.
  20. Il Medico Provinciale invia a tutte le istituzioni provinciali preposte alla tutela della salute pubblica il contenuto della Circolare n. 212 del Ministero della Sanità. Si veda nota [11].
  21. Il mercurio era usato come catodo nel processo di produzione della soda-cloro.
  22. [FS 19970206] Allarme mercurio nell’acqua, «Il gazzettino», 6 febbraio 1997.
  23. [FS 19970209] La battaglia del mercurio: riecco il Comitato di difesa, «Messaggero Veneto», 9 febbraio 1997.
  24. [FS 19981016] Pesce fresco condito al mercurio, «Il gazzettino», 16 ottobre 1998.
  25. [FS 20080912_1] Inquinamento, Caffaro sotto sequestro, «Il gazzettino», 12 settembre 2008.
  26. [FA 1976_3] ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI TORVISCOSA, Controllo ambientale, Tutela delle acque, b. 7, fasc. 6, Legge n. 319 del 10 maggio 1976 – norme per la tutela delle acque dall’inquinamento SNIA Viscosa II.
  27. Gas tossici quali, in particolare, vapori di mercurio, anidride solforosa, anidride solforica, acido solforico e cloro. [FA 1976_2] ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI TORVISCOSA, Controllo ambientale, Inquinamento atmosferico, b. 3bis, fasc. 16, Richieste di indagini al Laboratorio di igiene e profilassi di Udine.
  28. [FS 20080912_3] La Procura chiude la Caffaro: inquina, «Messaggero Veneto», 12 settembre 2008.
  29. La Zona Speciale di Conservazione (ZSC) è un sito indicato per la protezione di habitat e specie animali e vegetali significative a livello europeo, mentre la Zona di Protezione Speciale (ZPS) è un sito indicato per la tutela delle specie di uccelli selvatici e dei loro habitat.