Le battaglie ambientali in difesa della laguna di Marano

INSEDIAMENTO PRODUTTIVO

Storia produttiva

Il complesso industriale nacque con l’intento di soddisfare quella che era la forte domanda sul mercato dell’epoca di raion e cellulosa con una produzione di origine italiana. L’azienda fu costruita su dei terreni acquistati nel 1937, la cui espansione portò a toccare i 5300 ettari nel 1942, in un territorio attraversato dai fiumi Ausa e Corno, importanti percorsi navigabili per il trasporto via mare.
In quel periodo in Italia mancava quella che era un’adeguata disponibilità forestale per avviare una produzione simile, in particolar modo di conifere, che rappresentavano la materia tradizionale per la produzione di cellulosa e di fibre artificiali, e che dovevano essere quindi importate dalle regioni nordiche. È per questo motivo che si optò invece per la coltivazione di una pianta a ciclo annuale, ossia la canna gentile (Arundo donax), che comportò la realizzazione di un complesso agricolo industriale, a cui successivamente venne integrato anche un programma di pioppicoltura, oltre ad un tentativo di utilizzare altri tipi di legname come quello proveniente da varie specie di eucaliptus. Dal punto di vista industriale invece l’azienda successivamente si espanse implementando anche uno stabilimento per la produzione di caprolattame, materia prima per il lilion, ed un altro di acido solforico per la sua alimentazione, oltre che introducendo la produzione di pasta semichimica attraverso un nuovo processo al monosolfito.
La produzione originale di cellulosa tessile a partire dalla canna prevedeva un processo al bisolfito modificato messo a punto proprio dalla società Snia Viscosa, che una volta ampliato riuscì ad arrivare ad una produzione teorica di oltre 100.000 tonnellate annue attraverso l’impiego di uno stabilimento per la produzione di pasta semichimica greggia e bianchita, uno stabilimento elettrochimico per la produzione di cloro, soda caustica, ipoclorito e acido cloridrico ed infine una centrale termoelettrica per la produzione di energia attraverso la combustione di carbone, nafta e del liscivo bisolfitico di scarico della cottura della cellulosa. Inoltre, furono realizzati anche alcuni impianti complementari come quello per la produzione di biossido di cloro e per la concentrazione del liscivo di scarico dell’impianto di produzione della cellulosa destinato appunto alla combustione. Quest’ultimo processo veniva effettuato in un impianto di evaporazione, in cui passando in un serbatoio sottovuoto era anche possibile recuperare l’anidride solforosa disciolta all’interno del liscivo per riutilizzarla nel processo principale.
Nonostante i tentativi precedentemente riportati per rivoluzionare la materia prima vegetale, la produzione della fabbrica finì per essere essenzialmente costituita da cellulosa ottenuta da vari legni di latifoglia importati, con un consumo di legno che si aggirava attorno ai 700.000 metri steri all’anno, 80.000 tonnellate annue di carbone impiegato per la produzione di vapore nella centrale termica e rispettivamente 30.000 e 20.000 tonnellate annue di pirite e calcare, essenziali per il processo industriale.

Tipologia di rischio

Produzione di cellulosa

Il processo di produzione aveva inizio con il trasporto del vegetale in un impianto di taglio, dove veniva scortecciato e ridotto in “chips”, producendone 90 tonnellate l’ora. Seguiva il processo di cottura, che avveniva in grandi bollitori dove, a specifiche temperature e pressioni, si otteneva la pasta greggia attraverso trattamento con soluzione di bisolfito di calcio acida (ma dal 1964 si introdusse l’utilizzo di solfito di sodio per la produzione di una pasta semichimica, a cui seguiva anche una fase di sfibratura). Questo processo portava in soluzione le sostanze non cellulosiche, mentre la cellulosa grezza poteva essere lavata dal liscivo che l’accompagnava (liscivo che sarebbe poi stato concentrato e bruciato) e sottoposta a trattamenti meccanici (assortitura) e chimici, ossia la clorazione, nobilitazione e imbiancamento, producendo fino a 35.000 tonnellate annue di pasta greggia o bianchita.

È proprio in questi trattamenti chimici che venivano impiegati la soda caustica, il cloro, l’acido cloridrico, l’ipoclorito di sodio e il biossido di cloro prodotti direttamente presso lo stabilimento. A differenza degli altri composti che venivano sintetizzati nello stabilimento per la produzione di soda e cloro, il biossido di cloro veniva ottenuto per reazione dell’anidride solforosa con una soluzione di clorato sodico in presenza di acido solforico. L’anidride solforosa era necessaria in vari step all’interno fabbrica: per la produzione di cellulosa in primis, ma anche per la preparazione del liscivo al bisolfito di calcio, di pasta semichimica e del solfito neutro di sodio; e veniva sintetizzata attraverso l’arrostimento delle piriti.

Alla fine di tutti i trattamenti la cellulosa veniva pressata in fogli ed essiccata. Questi fogli venivano infine tagliati in formati standard, per formare balle pronte alla spedizione per le successive trasformazioni in fibre tessili.

Produzione di soda e cloro

L’impianto era in grado di produrre 42.000 tonnellate l’anno di soda elettrolitica, 37.000 tonnellate l’anno di cloro liquido e 12 milioni di mc di idrogeno (convogliato poi per la produzione del caprolattame) attraverso la seguente reazione:

2 NaCl (aq) + 2 H2O (l)  →  2 NaOH (aq) + Cl2 (g) + H2 (g)

In particolare, questa produzione veniva realizzata con celle a catodo fluente di mercurio, in cui la materia prima era il salgemma (cloruro di sodio di miniera) proveniente dalla Sicilia e di cui si impiegavano 70.000 tonnellate l’anno. La forte corrente elettrica continua che veniva applicata alla soluzione acquosa di cloruro di sodio all’interno delle celle di elettrolisi ne permetteva la scissione, ottenendo i prodotti riportati.

Una parte del cloro e dell’idrogeno prodotto nell’elettrolisi venivano poi impiegate per la produzione dell’acido cloridrico e dell’ipoclorito di sodio, mentre il cloro prodotto in eccesso veniva invece essiccato e liquefatto per essere poi venduto al mercato europeo.

Produzione di caprolattame

Accanto al vasto mercato delle fibre artificiali di origine cellulosica si sviluppò una grande produzione anche di fibre interamente sintetiche, ossia ottenute per sintesi chimica. In seguito al successo dalla fibra poliammidica della Snia Viscosa, il lilion, si decise di realizzare a Torviscosa un materiale per la produzione della sua materia prima necessaria: il caprolattame. Questa decisione era inoltre supportata dalla possibilità di utilizzare l’idrogeno di recupero degli impianti elettrolitici della fabbrica che produceva soda e cloro. Il processo per la produzione del caprolattame prevedeva infatti l’utilizzo di idrogeno e toluolo, un prodotto dell’industria petrolifera di vasta disponibilità e a basso costo, portando ad una capacità produttiva di oltre 10.000 tonnellate l’anno.

In particolar modo gli step di questa produzione prevedevano l’ossidazione con aria in presenza di catalizzatore del toluolo ad acido benzoico (da cui si recuperava per rettifica anche della benzaldeide), la successiva idrogenazione catalitica ad acido esaidrobenzoico e la sua reazione con acido nitrosilsolforico per ottenere una soluzione di caprolattame. Questa soluzione veniva poi neutralizzata con ammoniaca, estraendo e distillando il caprolattame, che una volta purificato era pronto per il commercio, assieme ad altri sottoprodotti come il solfato ammonico (utilizzabile come fertilizzante azotate), l’acido benzoico e la nitrosa.

Tra le materie prime necessarie per i vari step vi erano perciò il toluolo, l’ammoniaca e l’acido solforico. Quest’ultimo veniva prodotto a Torviscosa in una fabbrica annessa allo stabilimento del caprolattame, che utilizzava lo zolfo delle piriti e che comprendeva anche un impianto per la produzione di oleum (una miscela di triossido di zolfo in acido solforico, anch’esso utilizzato come alternativa nella produzione del caprolattame).